lunedì 30 gennaio 2012

Biscottini primi mesi: con gli aromi o niente

Non so a voi, ma a me la parola  aroma artificiale mi fa un certo effetto. Soprattutto se accostata allo stomachino dei miei figli.  Eppure sembra che per molti prodotti alimentari non ci sia scelta. 
Se infatti gli aromi naturali sono ottenuti attraverso diversi procedimenti (tra cui la distillazione e l'estrazione con solventi) da ingredienti naturali (ad esempio l'essenza di limone estratta dalla scorza degli agrumi), a quelli artificiali si arriva per sintesi chimica di laboratorio al fine di imitare l'originale presente in natura. Con tutte le conseguenze che questo può comportare. Dal momento che nessuno di noi è in grado di studiare tomi scientifici sulle conseguenze che l’uso degli additivi ha sulla nostra salute, da consumatori consapevoli ne faremmo volentieri a meno, soprattutto quando si tratta dei nostri bambini. Evidentemente non è così.
In una società dove gli scaffali dei supermercati sputano fuori prodotti, un genitore in procinto di svezzamento non è libero di scegliere se dare a suo figlio biscotto granulato con o senza aromi. Ho girato tutta Ravenna per trovare una confezione di biscotti biologici primi mesi senza glutine e senza uova (per neonati dai quattro mesi in su) ricordando che tre anni fa l’avevo trovata.  Quasi ovunque mi sono sentita rispondere: “Li avevamo ma quando abbiamo visto che nessuno li comprava perché costano troppo non li abbiamo più acquistati”. Si tratta di spendere qualche euro a confezione in più rispetto a quelli non biologici. Eppure sembra fare un’incredibile differenza. Alla fine alla domanda biscotto o non biscotto ho scelto biscotto con aromi (quando su una confezione non è specificato naturali vuol dire che sono sempre artificiali), consolata dal fatto che per i bambini dai sei mesi in su - chissà perché - i biscottini biologici si trovano ancora. Mi sorge il dubbio se non valga la pena di premunirsi, facendo scorte ora prima che supermercati e negozi cambino idea un’altra volta.

domenica 29 gennaio 2012

Genitori, quante aspettative. Ma i bimbi che ne pensano?

Questo post è un contributo dell'amica Sole con la quale si apre oggi lo spazio Mamme in bacheca, uno spazio di questo blog dedicato a chi ha qualcosa da dire...

Ieri ho visto il film di Robert De Niro "Stanno tutti bene". L'avete mai visto? Mi ha fatto molto riflettere su come noi genitori viviamo il rapporto con noi stessi e anche con la società. Ho riflettuto molto su come ci sentiamo spesso i migliori genitori che i nostri figli possano avere, spingendoli nella vita verso aspettative che sono solo nostre e limitando le loro. Mi ha fatto riflettere sul mio ruolo di genitore, sul rapporto con le mie bambine e su che cosa faccio per far sì che siano loro a scegliere la loro strada. Faccio qualche esempio: ricordo sempre quando Ricciolina ha iniziato la prima elementare, una fase importante per i bambini perché pur essendo bambini iniziano a responsabilizzarsi ancora di più. Ricciolina ha iniziato con tanta tranquillità questa fase, noi non l' abbiamo martellata dicendole "sai, andrai a scuola, adesso sei grande, devi studiare e mi devi portare voti che non vadano al di sotto del 9" o altre cose simili, semplicemente abbiamo atteso con tranquillità spiegandole che doveva stare tranquilla, che la scuola è un posto dove si cresce imparando tante cose. Infatti così è stato: Ricciolina ancora oggi si sveglia tranquilla, con la voglia di andare a scuola. Ha imparato ad autogestirsi con i suoi compiti. Quando torna a casa e mi dice che ha preso un voto io le rispondo sempre "bravissima amore" e le dico: "Ricordati che tutto quello che fai e ottieni lo fai semplicemente per te stessa, noi siamo felici se tu sei felice", mi fa tenerezza perchè mi risponde "mamma, io sono felice". Un altro esempio: Ricciolina non ama fare attività perché è timida e non le piace mettersi al centro dell'attenzione. Tanti mi dicono che i bambini guai se non fanno attività! Molti genitori obbligano i figli a fare cose che non vogliono, semplicemente perché hanno troppe aspettative che non corrispondono a quelle dei bambini. Non ho mai obbligato Ricciolina a fare qualcosa che non vuole perché penso che alla sua timidezza si aggiungerebbe insicurezza.  Ne parliamo, cerco di proporle qualcosa ma tutte le volte mi risponde che dove ci sono 'maestri' lei si vergogna. L'ascolto cercando di capire il suo mondo e il suo pensiero, accettadolo e rispettandolo. Quindi molto tranquillamente le rispondo che quando avrà voglia e si sentirà di fare qualcosa per far crescere bene il suo fisico basta che me lo dica e ne parleremo, decidendo insieme qualcosa per lei.
Consiglio a chi non lo avesse visto di vedere il film di cui ho parlato all'inizio di questo post, aiuta noi genitori a riflettere e a metterci in discussione!

sabato 28 gennaio 2012

A spasso per la città che vorrei...

Oggi mi è venuta un’idea. Ho pensato alla città che vorrei. Eccola qui:
arrivo in stazione, sono le 9, il sole riscalda anche un po’ l’aria che di solito in questi tre giorni (chiamati della merla perché sono i più freddi dell’anno) è particolarmente pungente. Mi guardo intorno e vedo, appena fuori dal binario, una freccia che indica: toilettes per grandi, bar, edicola, stanza delle coccole. Mi precipito alla stanza delle coccole. Il piccolo, in giro con me a vedere una mostra a cui tenevo particolarmente, va cambiato e deve fare la pappa. Lì dentro c’è tutto quello che mi serve: poltrona per allattare, fasciatoio, scaldabiberon (funzionante!). Attacco, pulisco, mangia, passeggino, si gira. In autobus c’è il posto per le mamme con passeggino e la pedana per salire. La mostra è bellissima, se non hai con te un marsupio te ne danno uno all’ingresso. Al pupo piace il surrealismo. Al metronomo con l’occhio di Man Ray crolla del tutto. Due ore a guardare quadri in una giornata tutta per me. Dopo la mostra mi faccio un giro in centro. Sbircio qualche vetrina ma nel frattempo per il pupo è già ora di pappa. Fuori da un bar - tavola calda vedo l’insegna ‘locale a misura di mamma’. Da un po’ sono entrati in scena i servizi pubblici non essenziali. Non è obbligatorio ma chi se ne dota ha degli incentivi dai Comuni per realizzare i lavori. Tra poco, dicono, sarà obbligatorio che, a seconda della grandezza della città e a seconda delle zone, ci siano tot servizi per mamme e bambini per tot chilometri o addirittura centinaia di metri. Dunque, nella tavola calda c’è una stanza con fasciatoio, scaldabiberon, scaldapappa. Al tavolo oltre al seggiolone mi danno minivassoio, salviette baby di carta, posatine usa e getta. Mangiamo tutti e due e poi di nuovo in giro. E’ tardi, ci incamminiamo verso la stazione. Di strada ci fermiamo alla biblioteca per bambini. Ci sono libri in tutte le lingue e per tutte le età. Compriamo un nuovo libro per la sorellina e filiamo via. Alle 16 siamo in stazione. Riprendiamo la macchina. Alle 16.30 siamo davanti all’asilo della sorellina. Alle 17 a casa. Treni puntuali, autobus pure.
Di vero in questo post c’è: una stanza delle coccole c’è in stazione a Ravenna, Modena, Bologna (magari anche nelle vostre città, segnalatemi dove). Un marsupio qualcuno te lo dà davvero se non ne hai uno, per esempio all’Acquario di Cattolica, la trovo un’iniziativa utilissima. Di libreria fornitissime per bambini ce ne sono (per fortuna, almeno questo) un po’ ovunque. Una delle più fornite che ho visitato è in centro a Bologna. Si chiama Giannino Stoppani.
L'immagine di questo post è del writer statunitense Keith Haring

p.s. da nessuno dei soggetti linkati percepisco contributi per la pubblicità. I link servono solo a rimandarvi a qualcosa di utile. Keith Haring, ahilui, ci ha lasciati da quel dì.

giovedì 26 gennaio 2012

Chi ha paura della fecondazione assistita?

L’idea di questo post mi è venuta da una lunga (tante a dir la verità) chiacchierata con mammarock, una mamma di tre gemelli conosciuta sul web. Mamma rock è una di quelle mamme che ha realizzato tre volte in un colpo solo il suo sogno di maternità e con la fecondazione assistita.  Visti i ritmi di una tre volte mamma ha lasciato il lavoro e quando i pupi (due maschi e una femmina) hanno raggiunto i 4 anni ha deciso di trasformare in passatempo il suo essere mamma e ha aperto una biblioludoteca grazie all’aiuto del piccolo Comune in cui vive. Ma prima di arrivare alla decisione di provare a chiedere una mano alla scienza mammarock ha avuto paura: di dover ammettere che esisteva un problema, di capire se suo marito avrebbe accettato che esisteva un problema, di superare la paura di non farcela neanche dopo la fecondazione assistita. Mi ha raccontato di essersi fatta non pochi problemi, colpevolizzando a turno se stessa e poi l’altro. Fino a quando ha deciso di prendere il toro per le corna, scacciare la paura e dire: ok, quante ce ne sono come me? Andiamo avanti e proviamo. Suo marito, alla fine, non si è posto un problema alcuno di quello che stava accadendo. Ha accettato con serenità di iniziare questo nuovo percorso insieme, magari scherzandoci anche un po’ su. Anzi, mammarock ha fatto di più: ne ha parlato ad amici e parenti come se fosse la scelta di un nuovo mobile per la casa, finendo per trasformarlo in un normale argomento di conversazione con le amiche più care, senza paura e senza vergogna. A pensarci bene se mi guardo intorno ho più amiche che hanno ricorso alla fecondazione assistita di quante non lo abbiano fatto. Ognuna ha preso più o meno sportivamente la cosa, qualcuna dopo aver superato lo scoglio del ‘un po’ mi vergogno’, qualcuna  considera ancora un tabù il ‘non riesco a restare incinta’.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 15% delle coppie in età fertile ha problemi di infertilità, incidenza che raggiunge il 18% nelle donne tra i 35 e i 39 anni e che aumenta con l’età a causa della cosiddetta progressiva riduzione della riserva ovarica. Sebbene possa dipendere sia dall’uomo che dalla donna, nel 17% dei casi non è possibile riconoscere nessuna causa precisa. Per infertilità di coppia, però, si intende la mancata procreazione dopo 12 (non due o tre!) mesi di rapporti non protetti o mirati.
Future mamme, calma e gesso! Parlarne aiuta. Averne paura no.

mercoledì 25 gennaio 2012

Il pupo ha bisogno di brividi. Ovvero quando l'ammaraggio nel bagnetto non basta più...

Se avete un figlio scalmanato (o che sta perfezionando il processo di trasformazione), che durante il giorno ha bisogno di correre attorno al divano per sgranchirsi le gambe, che mentre fa il bagnetto esplora nuove tecniche di ammaraggio, forse ci avete pensato già. I comuni parco giochi non sono proprio quello che fa per lui. Il pupo ha bisogno di andare oltre. Per esempio all’Indiana Park. I sintomi che abbia qualche gene selvaggio sono (pressappoco) i seguenti: passa una parte della sua giornata a testa in giù, segno che se avesse una liana che pende dal soffitto ci si accomoderebbe tranquillamente per dormire; la dolcezza e l’infinita tenerezza che sputano fuori i suoi occhietti scatenano ipnosi istantanea, stato di semi estasi del genitore che apre al pargolo le porte della terra promessa fino al fragoroso risveglio (crash, boom, bang, gulp!); quando arriva in un parco giochi dribbla debitamente scivoli e altalene, appendendosi quattro secondi dopo agli anelli di Yuri Chechi e non contento sfida le giunture delle braccina volteggiando alla ricerca del giro della morte.
Alla vista dell’Indiana Park, dunque, emetterà un suono di giubilo (ohhhhhhhhhhhhhhh) che vi darà (se ce ne fosse ancora bisogno) la prova definitiva: il pupo ha bisogno di brividi.
La Nanetta biondina se lo ricorda ancora: il tunnel di rete, i cestelli mobili, la teleferica, i piattelli e i pali alternati, mettere alla prova il suo equilibrio fisico (e il tuo mentale per non intervenire ad ammorbidire l’atterraggio), con un casco in testa per sentire che - sììììììììììììììì - sta facendo davvero qualcosa di PERICOLOSO.
Consiglio di sperimentare la gitarella con l’arrivo della bella stagione. Le informazioni sugli orari le ho trovate su www.indianapark.it.

martedì 24 gennaio 2012

Mamma, il fratellino è un lemure?

“Mamma mi compri una zebra? Una vera però”. “Mica male come idea, e dove la mettiamo?”, “Ma come, mamma, sul tappeto, non vedi che ci entra?”. Occhio e croce sì, le proporzioni sono quelle. Una zebra è giusto quello che ci manca. Difficile credere che gli autori di Madagascar non lo avessero previsto: prima di arrivare all’uccellino, il pupo adesso vola alto.  A primo istinto ci prova con la zebra, il leone, la giraffa e l’ippopotamo, inseguendo il sogno di avere amici come Martin, Alex, Melman e Gloria. L’ingombro giusto per il salone di casa mia.
“Mamma, non possiamo comperare un pinguino, però! I pinguini vivono al freddo”. Saggezza di bimba.
Di fatto vivrebbero meglio dei pinguini a Ravenna di quanto potrebbe fare una zebra ma dopo aver messo una zebra in salotto, la giraffa nel box doccia per tenerle la testa dritta, un ippopotamo nella vasca da bagno (che non ho!) e un leone davanti alla porta (hai visto mai che qualcuno voglia entrare in casa), i pinguini dove li metto? Nel frigo non c’è posto. Ieri sera la Nana biondina mi ha anche confidato di volere un maialino che si chiama Lotte.
Insomma, mia figlia oggi è come Cocò quello che vede vo! E’ per questo che se posso salto abilmente di canale quando danno Lola e Virginia. Una delle due vive in una mastodontica villa con piscina, gira sempre con gli occhiali da sole in testa, indossa solo vestiti firmati. State sicuri che la Nana biondina, come qualsiasi altra, non si immedesimerà mai nella più dimessa Virginia: occhialuta, paffutella e vestita in maniera normale.
Alla fine ci si deve pure accontentare. Visto che non possiamo difenderci dall’invasione del futile e dell’inutile che dal tubo catodico rinsecchisce i cervelli dei nostri bambini, salvo oscurando una parte di mondo e togliendo la televisione (non credo che sia la soluzione), abbiamo un’altra arma da usare: scegliere, selezionare, spiegare.
Ho iniziato dunque a spiegare a mia figlia che tra la realtà e la finzione c’è di mezzo quanto segue: casa nostra non è una succursale in cemento del Madagascar e nemmeno dello zoo di San Diego. Parlare è meglio che ruttare e se anche re Julien lo fa rumorosamente pazienza. I lemuri ruttano. “Mamma, quindi il fratellino è un lemure?”. Non c’è una risposta per tutto!

La mamma di Manzoni non rinasce più!

Sapete che c’è? Un’altra Giulia Beccaria non rinascerà più. Oggi, almeno, non sopravviverebbe, tantomeno ne verrebbe fuori un altro Alessandro Manzoni.
Insomma, figuratevi la scena. Giulia Beccaria, 50 anni, mamma di un ventenne Alessandro Manzoni aspirante poeta, oggi. Immaginate che cosa accadrebbe se solo intuisse che da quel figlio (venuto fuori per giunta dall’amore extraconiugale e non dal marito anziano e bacucco, aiuto le ansie!) potrebbe venire fuori nientepopodimeno che un’opera come ‘I promessi sposi’? “Alessandro, mamma, ci vedi con quella luce? Vuoi che mamma te ne compri una più grande? E che ti preparo, oggi? Devi mangiare, bello di mamma, se no le idee poi non ti vengono fuori da quella testa santa con cui ti ho fatto” ...e giù con i baci, e i baci, e i baci. E Alessandro: “E dai mamma, ormai ho vent’anni, ancora con questi baci!”.
Ecco, l’Alessandro Manzoni figlio di questa Giulia Beccaria lascerebbe la sua opera incompiuta, si calerebbe i pantaloni sotto il sedere e se ne andrebbe in giro per il mondo a cantare la sua arte, ormai povera, lontano da mamma. Non farebbe, in soldoni, mai successo pur di non doversi sorbire i baci di mammà.
Ecco perché Giulia Beccaria, quella vissuta a cavallo tra ‘700 e ‘800, è stata una mamma di razza. Segue il suo cuore dando alla luce quel figlio ‘bastardo’ di un Verri e non legittimo di un Manzoni. Appena dieci anni dopo lascia suo figlio in collegio per seguire un altro amore, quello per Carlo Imbonati con cui vive fino alla morte di lui. E qui, magari, qualcosa ci sarebbe da dire. Tant’è: Giulia e Alessandro si ricongiungono quando lui ha 20 anni per non separarsi mai più. Così da donna ribelle Giulia Beccaria si trasforma in madre tenerissima e nonna amorevole.

(postato nella pagina mamme di razza)

domenica 22 gennaio 2012

Rutta che ti passa

Qualcuno, tra i disegnatori dei cartoni animati, deve aver pensato di lanciare un nuovo stile catodico, una filosofia che attecchisce sui bambini. La nuova filosofia si chiama rutta che ti passa. Alla base di tutto c’è la convinzione che ruttando si cresca meglio e che un rutto aiuti a far uscire le tensioni che altrimenti farebbero la ruggine  tra l’Io e il superio. Sapreste spiegarmi perché, altrimenti, in tutti, e dico tutti, i cartoni animati di oggi i personaggi sentono il bisogno di ruttare? Papà Pig, quel tenerissimo papà maiale sovrappeso, emette un rutto non appena finisce di mangiare. Persino l’elefantino Dixiland, che avrei dato l’oscar della tenerezza a chi se l’è inventato, presto o tardi ha rotto la poesia con un rutto. L’unica alla quale hanno risparmiato il rutto è (per ora) Hello Kitty, forse perché prima qualcuno dovrebbe ricordarsi di disegnarle la bocca. Ora, come faccio a spiegare alla Nana biondina che ruttare rumorosamente per strada, al supermercato, a casa quando ha mangiato (figurarsi all’asilo) non è una nota di merito? Che non funziona così: più forte rutto più velocemente cresco. Come faccio a spiegarle che se Peppa Pig, mamma Pig, papà Pig e George ruttano tutti insieme appassionatamente per celebrare il lauto pasto, noi non dobbiamo fare lo stesso? Che ruttare non è un rito del volersi bene?
E dire che certe cose i bambini le imparano subito. Con la stessa velocità con cui ha imparato a ruttare la Nana biondina ha capito che cosa vuol dire sfigati. Ho scoperto da poco, infatti, che Babbo Natale ha una lista dei cattivi molto lunga perché non esiste una lista degli sfigati (l’era glaciale docet). Dunque mia figlia, tre anni, che si è ricordata che io e mio marito a Natale non ci siamo scambiati regali (per non ingrassare i cassetti di cose inutili), mi ha chiesto ridendo: mamma, tu sei una sfigata?
Mi toccherà darle una risposta.

Hanno inventato i fasciatoi, qualcuno se n'è accorto?

Avete mai pensato di seguire un corso preparto? Fatelo. Molte cose vi torneranno utili. Tra queste la rassicurazione dell’ostetrica sul fatto che la cacca nel pannolino dia fastidio più a voi che al vostro bambino. E’ esattamente quello che mi sono ripetuta tutte le volte che in giro in una città non ho trovato un posto dove cambiare uno dei miei bambini.
Non sono mai stata una mamma a cui piace restare a casa anche a temperature polari. la Nana biondina è stata portata a passeggio anche sotto la neve. Oggi ha tre anni e ha preso un antibiotico per la prima volta qualche settimana fa. Il Nanetto, cinque mesi, ha già fatto svariati giri in lungo e in largo per lo stivale. Da quando sono diventata mamma dunque ho capito tante cose nuove di questo paese, compreso che non ha alcuna pietà per il culetto dei bambini.
Assodato che non bisogna essere mamme ansiose, quando il bambino non si tiene nel passeggino un po’ di patema per il suo fastidio però ti viene.
Esempio 1. Due mesi fa eravamo a passeggio per Bologna. Faceva già freddino ma non troppo. Il Nanetto non si teneva più. Né in braccio né nel passeggino. Piangeva in continuazione. Dopo due ore così facciamo una pausa nel posto che ci piace di più da quando abbiamo i bambini: la Borsa, in piazza Maggiore, dove c’è la biblioteca per bambini. Bontà loro e della dea della civiltà che li ha raggiunti, oltre a libri, cuscini e tappeti di gomma per leggere libri sdraiati hanno anche tavolini su misura per la pappa, poltrone per allattare e un BAGNO. Con tanto di fasciatoio, lavandino e gabinetti piccoli. Povero Nanetto: aveva tanta cacca sulla schiena fin quasi ai capelli che avrei sfidato un adulto a passeggiare sereno così. Lavato, cambiato, ha dormito quasi fino al ritorno a casa il pomeriggio e finalmente si è goduto la passeggiata pure lui.
Esempio 2. A ritorno da un viaggio in Puglia, qualche tempo fa, tranquilli che almeno in Autogrill l’invenzione del fasciatoio sia arrivata, svoltiamo per San Benedetto del Tronto per far fare una pausa dal viaggio ai bambini. Scegliamo un ristorantino che pubblicizzava una frittura di pesce da restare senza fiato. Un po’ costosetto a dire il vero, ma una volta tanto si può fare. Senza fiato, però, ci ha lasciato durante il pranzo qualcos’altro. Pensavo, che allocca, che un fasciatoio nel bagno ce l’avesse un ristorante così. Dimenticavo che più ci si alza di livello meno è prevista la presenza dei bambini.
A Ravenna che per essere una città del Nord ha iniziato a civilizzarsi un po’ in ritardo, c’è la stanza delle coccole in stazione (a 700 metri dalla piazza principale) ma meglio di niente, ce n’è uno all’Ipercoop e un altro al Centro di medicina e prevenzione. Non c’è un fasciatoio in un bar e nemmeno in ospedale, pediatria compresa (magari, speriamo, ho visto male).
E in treno? Provate a fare un viaggio di cinque ore con un neonato e ditemi quante volte la farà. Per viaggiare tutte le volte mi devo portare la carrozzina o il passeggino, se non voglio costringere un intero vagone a sentire cosa ha mangiato il bambino e mio figlio a diventare nervoso per il fastidio.
Dunque, pubblicizziamo le strutture amiche degli animali, si mettono i sacchetti per strada per invitare i padroni a raccogliere la cacca dei loro cani ma per la pupù dei nostri figli non è previsto nulla.
Costo di un fasciatoio a buon mercato: 60 euro. E che ci vuole! Se Trenitalia lo accetta per la tratta Rimini - Bari glielo regalo io, mi trovino solo un buco dove metterlo!!!

Datemi un avatar e sarò una mamma perfetta!

Perché nessun governo ha ancora pensato di liberalizzare la professione di mamma? Niete orari, niente vincoli, niente pretese. E se alla fine le cose non quadrano scendiamo in piazza pure noi.
Scherzi a parte, qui ci vuole ben altro che una liberalizzazione. Ci vuole un'idea. Bisogna ribaltare lo stivale: mettere il tacco verso le Alpi e la parte più alta a mollo nel mare. Chissà che spostando questo qua e quello là non ne venga fuori qualcosa di meglio.
Chiariamo: non tutte le mamme la penseranno come me. C'è chi è felice e contenta di vivere nel deserto del sostegno sociale, di pendere dalle labbra di nonni, mariti, sorelle e fratelli per avere uno straccio di aiuto. Contenta per loro. Io invece mi indigno un giorno sì e l'altro pure. E neanche solo per me. La posizione che occupo oggi nel dizionario mi piace parecchio. Alla m di mamma ci sto molto bene tanto da aver raddoppiato perchè, mi sono detta, bismamma è ancora meglio che mamma. Ma non durerà per sempre. Anzi. Il mio periodo sabbatico volerà via più in fretta di una bella stagione.
Prendi le mie amiche. Userò nomi di fantasia ma le storie hanno tutte del vero. Giorgia, anni sui libri divisa tra qualche città del Nord e Roma. Scatta il grande impiego nell'amministrazione di una grande azienda. Poi arrivano i nanetti. A Roma se fai la mamma, lavori e vuoi passare del tempo coi figli ti puoi sparare, o licenziare. O fare come ha fatto Giorgia: maternità, aspettativa, ferie. Anche a lei suonerà la campana del fine ricreazione. E quando si tratterà di tornare al lavoro le verrà la psoriasi da stress: prendi l'auto, porta i bimbi all'asilo, lascia l'auto, prendi la moto, vai al lavoro; lascia la moto, riprendi l'auto, riprendi i bimbi dall'asilo, torna a casa. La grande azienda per quanti milioni di euro fatturi l'anno si è ben guardata dall'aprire uno straccio di asilo aziendale. E che ci vorrebbe. Giorgia almeno farebbe auto, lavoro, auto, casa. Maria lavorava a tempo pieno in un negozio. A 42 anni dopo il primo figlio ha chiesto un part-time ma il business plan della società non lo prevede. O torna full time o si licenzia. Pazienza se a 40 anni un lavoro non lo trova dietro l'angolo. Laura faceva la giornalista come me. Poi si è innamorata, sposata, ha fatto due figli e si è inventata un lavoro da casa. Ma se non trova posto all'asilo neanche quello potrà continuare a fare. Roberta lavorava a tempo pieno in un negozio. Poi anche per lei è arrivata la primavera dell'amore, e via con il primo e poi con il secondo figlio. Lei è stata più fortunata perché hanno accettato di passarla a part time, salvo dirle poco dopo che se vuole continuare deve dare la sua disponibilità a lavorare le domeniche e i festivi. Per non parlare di me che dopo il secondo figlio ho dovuto aggiungere sul tesserino da giornalista la qualifica di 'peso morto'.
Le cose sono due: o io ho tutte amiche sfigate o c'è qualcosa che non quadra. Ci chiedono di fare figli, di essere genitori felici, di tenerli a casa già alle prime avvisaglie di malattia per evitare la pandemia, di ascoltare i nostri figli perché i segnali che ci mandano sono importanti, di passare più tempo con loro.
Dateci un avatar. O al lavoro o a casa lasceremo un prototipo virtuale.

p.s. ai colleghi e a tutti quelli che leggendo stanno pensando 'e chi ve lo ha fatto fare ad avere dei figli' ricordo che la loro madre avrebbe potuto fare lo stesso, fregarsene e non metterli al mondo 2. che in un paese mediamente civile le donne lavorano quasi quanto gli uomini, quando hanno dei figli stanno a casa dai sei agli otti mesi, ci sono tanti asili per tanti bambini.